Il sushi e le buone maniere

Il sushi e le buone maniere

n Giappone esistono norme che regolano le dinamiche della condivisione dei pasti, regole legate sia a questioni igieniche sia a fattori culturali propri del popolo nipponico, come ad esempio le possibili allusioni ai riti funebri. Gli estimatori di sushi sono consapevoli che all’interno di una sushiya, i ristoranti giapponesi dove si mangia solo sushi, esistono delle pratiche da seguire e dei gesti che, al contrario, vanno assolutamente evitati. Per prima cosa, il sushi va ordinato rivolgendosi direttamente all’itamae, il cuoco, mentre ci si può rivolgere al cameriere per tutti gli altri piatti. Una volta accomodati al bancone (oppure al tavolo, anche se la prima scelta è preferibile perché è possibile vedere l’itamae che prepara il sushi) vi verrà offerto un o-shibori, la salvietta di spugna inumidita con acqua che viene utilizzata per pulirsi le mani prima di mangiare. Al tavolo saranno presenti gli hashi, le bacchette usa e getta in legno: una volta estratte dall’involucro di carta, le bacchette vanno separate tra loro e poi appoggiate sullo hashioki, il porta bacchette. Durante il pranzo non bisogna spiluccare il cibo o spostare i piatti con le bacchette ed è assolutamente vietato infilzare il cibo con esse. A fine pasto, non lasciate mai gli hashi perpendicolari nelle ciotole di riso bianco perché questo gesto ricorda l’uso dell’incenso nei riti funebri. Chi non riesce a mangiare il sushi con le bacchette può mangiarlo tranquillamente con le mani, in un sol boccone, come si faceva in antichità quando si mangiava negli yatai, i banchetti all’aperto. All’occorrenza potremo pulirci le mani con l’o-shibori, tra un bocconcino di riso e l’altro.

Gli estimatori di sushi sono consapevoli che all’interno di una sushiya, i ristoranti giapponesi dove si mangia solo sushi, esistono delle pratiche da seguire e dei gesti che, al contrario, vanno assolutamente evitati.

Come si mangia
Un buon sushi va mangiato a temperatura ambiente, il pesce e il riso non devono mai essere freddi. Le pietanze ordinate vengono solitamente accompagnate da altri elementi che hanno specifiche funzioni e modalità di consumo. Il gari, lo zenzero sottaceto, serve per “pulirsi la bocca” e deve essere mangiato tra una portata e l’altra per preparare il palato di volta in volta al sapore di un pesce diverso. La parte che bisogna intingere nella salsa di soia, shōyu, è quella del pesce o dell’alga, mai dalla parte del riso perché altrimenti i grani si sfalderebbero e il sapore dell’intingolo risulterebbe troppo intenso. Il wasabi è sempre spalmato tra il riso e la fettina di pesce e non va mescolato alla salsa di soia, usanza comune all’estero ma poco praticata in Giappone. I giapponesi, preferiscono piuttosto aggiungere una piccola quantità direttamente sulla porzione da degustare, senza esagerare.

Con cosa si accompagna
Il sushi in Giappone viene accompagnato principalmente dal tè verde o-cha, servito in tazze spesse di ceramica senza manico chiamate yunomi. Oltre al tè, il sushi può essere gustato con birra oppure sakè. In molte sushiya l’acqua e il tè sono gratuiti ed è consuetudine servire da bere agli altri e, parallelamente, farsi servire: quando il bicchiere dei commensali è vuoto, riempitelo; svuotate il vostro quando avete sete e usate entrambe le mani quando qualcuno lo riempirà per voi.

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Quanti tipi di sushi esistono?

Quando diciamo sushi, a cosa pensiamo? Nigiriuramaki e chirashi sono solo alcune versioni di sushi, quelle più famose in Occidente. In Giappone esistono moltissime tipologie che cambiano in base alle ricette e alla zona di origine. Il sushi, infatti, può essere chiamato in modi differenti a seconda della forma e degli ingredienti utilizzati. Ecco le principali:

  • Nigirizushi
    Questo tipo di sushi, molto conosciuto, prende il nome dal verbo nigiru, “prendere, afferrare, stringere”. Il termine nigiri indica una manciata, in questo caso di riso. Con nigirizushi si intende una polpetta di riso pressato e poi spolverato da un tocco di wasabi, guarnita infine da una fetta di pesce crudo. Questo tipo di sushi può essere accompagnata anche da una foglia di alga nori. Il nigirizushi può essere preparato con oltre cento tipi di pesce, a seconda della stagione e della disponibilità degli ingredienti.
  • Makizushi
    Maki in giapponese significa “arrotolato”. Con il termine norimaki (letteralmente “avvolto nell’alga”) si identifica quella tipologia di sushi che presenta l’alga nella parte esterna, avvolgendo al suo interno tutti gli altri ingredienti. La polpettina di riso con pesce o verdure viene arrotolata a forma di cilindro e coperta da una foglia d’alga essiccata. Quando si parla di uramaki, invece, il procedimento è inverso: l’alga e gli altri ingredienti si trovano al centro e sono avvolti dal riso, guarnito con semi di sesamo tostati o altro in base alla ricetta. Questa versione di maki, arrotolata al contrario, è nata con l’esportazione del sushi all’estero. Infine, un’altra versione molto conosciuta è il temaki, ossia il “sushi arrotolato a mano”, a forma di cono.
  • Chirashizushi
    Letteralmente “sushi sparpagliato”. Per comporre questo piatto il pesce e gli altri ingredienti vengono mescolati e adagiati su un letto di riso per sushi, shari, e il tutto viene servito all’interno di una scatola laccata. Di solito questo sushi viene preparato in occasioni di feste e ricorrenze, per questo motivo esistono molte varianti che seguono le versioni locali e le tradizioni di famiglia.
  • Inarizushi
    L’inarizushi è composto da un una sottile frittatina di tofu (aburaage) a forma di sacchettino che racchiude al suo interno del riso condito con altri ingredienti come l’aceto. Nella zona di Nagoya questo sushi viene chiamato anche kitsunezushi, ossia “il sushi della volpe”, perché la credenza popolare vuole che le volpi siano ghiotte di tofu frutto. Questi animali, in giapponese kitsune, sono i messaggeri di Inari, divinità del riso. Per questo motivo in Giappone esiste l’usanza di lasciare inarizushi all’ingresso dei villaggi, per favorire la benevolenza delle volpi di passaggio.
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Itamae – il sushi come arte

Il sushi è la pietanza giapponese più conosciuta al mondo, nonché una delle massime espressioni della tradizione culinaria del Sol Levante. A incarnare lo spirito giapponese di quest’arte è l’itamae, il cuoco esperto nella preparazione del sushi. Infatti, a differenza di quanto succede in Occidente dove lo chef si occupa dell’intero menù del ristorante, nella cucina giapponese ogni cuoco si specializza nella preparazione di una sola pietanza. Nello specifico, l’itamae è lo chef del sushi, maestro dell’estetica e della tecnica di questo piatto solo apparentemente semplice ma, al contrario, estremamente complicato da preparare. La strada per diventare itamae è, infatti, lunga e faticosa. Gli apprendisti trascorrono anni nei retrobottega delle sushiya a imparare le tecniche di preparazione, dalla pulizia del riso al taglio del pesce, fino alla scottatura delle alghe tanto che in Giappone esiste un detto che recita così: kome sannengohan ninen, “per imparare a fare il riso ci vogliono almeno tre anni, cinque per imparare a trattare il pesce”. Un detto che potrà sembrare poco più che folklore ma che fotografa perfettamente lo spirito della cucina giapponese dove ogni apprendista pratica almeno sette-otto anni prima di riuscire a fare un sushi degno di questo nome. Il percorso dell’apprendimento della tecnica di qualsiasi arte in Giappone passa per la pratica, continua e costante, che diventa così sfida con noi stessi e con i nostri limiti. Imparare a cuocere il riso nel modo giusto, dosare l’acqua in estate e in inverno, tagliare il pesce o preparare la frittata dolce, va di pari passo alla bellezza del piatto. L’estetica è elemento integrante di ogni preparazione e il sushi, per essere buono, deve essere anche bello: equilibrato nel gusto e armonico nella forma. Solo quando l’apprendista sarà pronto a preparare il sushi “perfetto” riceverà come ricompensa quella di posizionarsi al bancone. Il contatto con i clienti è il premio più ambito per i giovani cuochi, il riconoscimento di una raggiunta abilità. L’aspirante itamae a termine della sua formazione deve sostenere un esame per ottenere la licenza dal Ministero della sanità giapponese, dimostrando di aver appreso tutte le nozioni necessarie in materia di igiene e nutrizione e solo allora sarà pronto e potrà aprire la propria sushiya. Dietro ogni sushi si celano anni di ricerca dell’armonia del gusto e della perfezione della forma, perché il sushi è molto di più di riso col pesce.

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Breve storia del sushi

La storia del sushi è antica come la storia del Giappone. Eppure, sebbene il sushi sia una delle pietanze giapponesi più diffuse e popolari in pochi conoscono la sua origine. Il sushi, come ogni piatto, si è trasformato nel tempo ed ha raggiunto solo di recente la forma che conosciamo noi oggi.

Alcune fonti riportano l’arrivo del sushi in Giappone nel I secolo a.C. Arrivò dalla Cina. All’epoca si trattava di un metodo di conservazione del pesce che veniva protetto dal riso salato il quale veniva poi scartato e non mangiato. In questo modo il pesce poteva viaggiare senza guastarsi. La più antica ricetta di sushi che ancora oggi viene preparata nella zona di Kyoto, e in particolare nelle vicinanze del Lago Biwa, è il narezushi il quale, come accadeva un tempo, è fatto con pesce conservato nel riso salato. Rispetto al sushi che conosciamo oggi, che ha un gusto delicato e armonico, il narezushi ha un sapore molto deciso.

Fu solo durante il periodo Azuchi-Momoyama (1568-1603) che si diffuse l’usanza di mangiare il riso insieme al pesce e, parallelamente, di utilizzare pesce e ingredienti locali. Come tutta la cucina giapponese, il sushi è un piatto che segue le tendenze stagionali e le tradizioni locali, e alcuni tipi di sushi sono caratteristici di specifiche località.

Successe proprio questo con i nigiri, la tipologia di sushi forse più famosa al mondo. Questo sushi è chiamato anche edomae – letteralmente “davanti a Edo”, o più propriamente edojōmae, ossia “davanti al castello di Edo” – Edo era l’antico nome di Tokyo e fu qui che nacque il nigiri, il panetto di riso guarnito con alghe e molluschi provenienti dalla baia di Tokyo. Durante il periodo Tokugawa, conosciuto anche come periodo Edo (1603 – 1868), la città di Tokyo ebbe una grande espansione. Il Giappone, ormai unificato, visse un lungo momento di pace e la capitale si trasformò in un centro nevralgico per l’economia e il commercio, attirando lavoratori da tutto il paese. Nel paese arrivò l’aceto che introdusse una rivoluzione nel modo di cucinare il sushi. Infatti, gli abitanti di Edo capirono presto che con l’aggiunta di questo ingrediente si poteva ottenere un riso acido senza dover aspettare i tempi naturali del processo di fermentazione. Iniziarono così a nascere i primi yatai, le bancarelle che vendevano cibi pronti per strada, e il sushi divenne una delle pietanze più popolari, simbolo storico dello stree-food giapponese.

A rivoluzionare ancora la degustazione del sushi fu, nel 1868, Hanaya Yohei, l’inventore del sushi come lo conosciamo oggi, quello col pesce crudo, dato che fino alla metà dell’Ottocento il sushi veniva servito insieme al pesce grigliato. Yohei ebbe l’idea di proporre ai propri clienti fettine di pesce crudo appena pescato, servito immerso nell’aceto o nella salsa di soia per ovviare ai problemi di conservazione. A causa del divieto della somministrazione di alcol accompagnò il sushi con una tazza di tè, usanza che si è mantenuta nel tempo e che è attualmente presente nelle sushiya tradizionali. Nel 1923 il terribile terremoto rase al suolo Tokyo. La ricostruzione della città portò di nuovo nella capitale manovalanze provenienti da tutto il Paese: artigiani, mercanti e manovali abituati a mangiare sushi “al volo” mentre andavano al lavoro, diffusero questo piatto anche nelle loro terre di origine. Nel 1947, la Seconda guerra mondiale causò una grave penuria di cibo e di riso e venne vietata la vendita di pesce crudo per le strade. La conseguente scomparsa degli yatai portò i commercianti alla costruzione dei primi ristoranti di sushi. Fu così che questa pietanza divenne il sofisticato piatto con prezzi da capogiro che conosciamo oggi. Nel 1958 nacquero i primi kaitenzushi, i ristoranti che servono il sushi su un nastro trasportatore, facendo ritrovare così a questo piatto la sua anima popolare. Da questo momento in poi il sushi si diffuse anche all’estero, arrivando prima negli Stati Uniti, dove venne creato il California Roll, e poi in tutto il mondo.

Kashipan – non solo riso. La tradizione della panetteria in Giappone

Kashipan – non solo riso. La tradizione della panetteria in Giappone

Scoprire che oltre al riso, in Giappone, si mangi anche molto pane è forse la vera scoperta della tradizione gastronomica del Sol Levante. Infatti, non c’è angolo di Giappone dove non si trovi una panetteria: da quelle locali a quelle dei grandi brand internazionali, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il pane viene gustato sia dolce che salato e nelle panetterie esistono quasi sempre entrambe le offerte, declinate in modo vario e creativo. All’origine della passione giapponese per il pane e i prodotti da forno chiamati kashipan, c’è una brioche dolce riempita di marmellata di fagioli rossi azuki, l’anpan. Nonostante i giapponesi amino tutti i tipi di pane, dalla baguette francese alle declinazioni creative della panetteria norvegese, ad esempio, fatte con farine e cereali di vario tipo, l’anpan in Giappone è una vera istituzione tanto che il 4 aprile di ogni anno si celebra addirittura l’anpan day, in ricordo del giorno in cui questa brioche dolce venne presentata alla corte imperiale. L’ anpan fu inventato a metà dell’Ottocento a Ginza da un samurai che, in periodo di pace, perse il lavoro. Dovendo reinventarsi cercò di fare qualcosa di nuovo e decise di rivisitare i prodotti da forno che in quel periodo avevano iniziato a fare capolino in Giappone con l’arrivo degli stranieri. Non fu facile arrivare alla ricetta perfetta ma dopo vari tentativi, nel 1875, l’anpan venne presentato a corte, dove riscosse un grande successo. Nacque così il sakura anpan, la brioche dolce guarnita con un fiore di ciliegio sotto sale proveniente dalla prefettura di Yoshino, vicino a Nara. Questa versione, che è la più antica e originale, si mangia ancora oggi ma ai giorni nostri al classico anpan sono stare affiancate varie declinazioni con guarnizioni di vario tipo come il sesamo nero. Anche le farciture non fanno eccezione ed esistono anpan ripieni di crema. Insieme all’anpan, tra i prodotti giapponesi da forno più famosi c’è il melonpan, un soffice biscotto ricoperto da uno strato croccante che prende il nome dalla sua forma rotonda che ricorda un melone. Il melonpan è molto popolare tra i bambini ed è famoso anche all’estero perché compare spesso in anime e manga. Il melonpan classico è a base di zucchero ed è molto leggero ma la sua popolarità ha fatto sì che ne nascessero numerose varianti come quella al tè verde matcha o quella al cioccolato.

Yōgashi – i dolci occidentali tipici della tradizione dolciaria del Sol Levante

Yōgashi – i dolci occidentali tipici della tradizione dolciaria del Sol Levante

Sebbene la tradizione dolciaria giapponese degli yōgashi, letteralmente “dolce occidentale”, sia poco conosciuta all’estero, questa grande famiglia di dolci è invece molto diffusa in Giappone tanto che ormai alcuni di essi fanno parte della più classica tradizione gastronomica del Sol Levante.

In questa categoria rientrano tutte quelle preparazioni che hanno un’origine occidentale, generalmente provenienti da Spagna, Portogallo, Francia o Stati Uniti, e che poi sono entrate a far parte, stabilmente, della cultura della pasticceria giapponese tradizionale. Arrivati in Giappone in vari periodi con gli stranieri che sbarcarono sulle coste giapponesi, gli yōgashi hanno incontrato il gusto locale e, come è successo a altre preparazioni, sono stati ripensati e adattati ai principi della tradizione gastronomica giapponese che tende a prediligere la leggerezza e il basso contenuto calorico. Negli yōgashi un ruolo fondamentale ce l’hanno le proporzioni degli ingredienti che sono diverse rispetto a quelle impiegate nella cucina europea o degli Stati Uniti: latte, uova e zucchero restano anche nella versione giapponese, che però ne abbassa le quantità, creando così dei dolci meno calorici e molto più soffici. L’esempio più rappresentativo di questo processo è la Castella, il pan di Spagna di origine portoghese, rielaborato alla giapponese e divenuto famoso col nome di Kasutera. A differenza dell’originale, la versione giapponese è caratterizzata da una consistenza più leggera e da un sapore molto delicato, che rendono questo dolce adatto a essere consumato in qualunque momento della giornata. Dall’utilizzo di questa base sono nati molti dolci come la shortcake, dolce immancabile nelle feste di compleanno ma spesso presente anche ai matrimoni. Nella sua forma più classica la shortcake è composta da due strati di pan di Spagna farciti di panna montata e guarniti con fragole fresche, oppure il Roll Cake, un altro dei grandi classici, composto anch’esso da una base di pan di Spagna, crema e pezzi di frutta fresca. Le guarnizioni alla frutta possono però cambiare e si possono trovare soluzioni originali con la scelta di ingredienti come la banana, la pesca o altri frutti. Anche la Chiffon Cake giapponese è ormai un grande classico: chiamata così per via della sua consistenza che ricorda la morbidezza della seta, il Giappone creò la propria versione di questo dolce utilizzando, anche in questo caso, la base soffice del pan di Spagna. Sempre sulla scia dell’influenza americana, dolci provenienti dagli Stati Uniti e diventati dei grandi classici della pasticceria giapponese, non si può non citare, la Japanese cheesecake, caratterizzata da una consistenza estremamente morbida e leggera della crema che la rende meno calorica rispetto alla versione originale, oppure la Japanese Millecrêpe, una piccola opera d’arte artigianale composta dal 12 strati di crêpe inframezzati da crema, con un cuore di marmellata anko.

Il dialogo gastronomico tra Oriente e Occidente è però ben lungi dall’essere esaurito. Se gli yōgashi raccontano influenza che le preparazioni occidentali hanno avuto nella tradizione dolciaria giapponese, recentemente si sta assistendo al fenomeno contrario. Infatti, alcuni ingredienti della tradizione gastronomica giapponese hanno iniziato a influenzare le preparazioni di casa nostra. Ingredienti come il tè verde matcha o lo yuzu – il succo ricavato da un agrume tipico – si sono inseriti nella tradizione dolciaria occidentale per dare vita a nuove proposte creative.