Yōgashi – i dolci occidentali tipici della tradizione dolciaria del Sol Levante

Yōgashi – i dolci occidentali tipici della tradizione dolciaria del Sol Levante

Sebbene la tradizione dolciaria giapponese degli yōgashi, letteralmente “dolce occidentale”, sia poco conosciuta all’estero, questa grande famiglia di dolci è invece molto diffusa in Giappone tanto che ormai alcuni di essi fanno parte della più classica tradizione gastronomica del Sol Levante.

In questa categoria rientrano tutte quelle preparazioni che hanno un’origine occidentale, generalmente provenienti da Spagna, Portogallo, Francia o Stati Uniti, e che poi sono entrate a far parte, stabilmente, della cultura della pasticceria giapponese tradizionale. Arrivati in Giappone in vari periodi con gli stranieri che sbarcarono sulle coste giapponesi, gli yōgashi hanno incontrato il gusto locale e, come è successo a altre preparazioni, sono stati ripensati e adattati ai principi della tradizione gastronomica giapponese che tende a prediligere la leggerezza e il basso contenuto calorico. Negli yōgashi un ruolo fondamentale ce l’hanno le proporzioni degli ingredienti che sono diverse rispetto a quelle impiegate nella cucina europea o degli Stati Uniti: latte, uova e zucchero restano anche nella versione giapponese, che però ne abbassa le quantità, creando così dei dolci meno calorici e molto più soffici. L’esempio più rappresentativo di questo processo è la Castella, il pan di Spagna di origine portoghese, rielaborato alla giapponese e divenuto famoso col nome di Kasutera. A differenza dell’originale, la versione giapponese è caratterizzata da una consistenza più leggera e da un sapore molto delicato, che rendono questo dolce adatto a essere consumato in qualunque momento della giornata. Dall’utilizzo di questa base sono nati molti dolci come la shortcake, dolce immancabile nelle feste di compleanno ma spesso presente anche ai matrimoni. Nella sua forma più classica la shortcake è composta da due strati di pan di Spagna farciti di panna montata e guarniti con fragole fresche, oppure il Roll Cake, un altro dei grandi classici, composto anch’esso da una base di pan di Spagna, crema e pezzi di frutta fresca. Le guarnizioni alla frutta possono però cambiare e si possono trovare soluzioni originali con la scelta di ingredienti come la banana, la pesca o altri frutti. Anche la Chiffon Cake giapponese è ormai un grande classico: chiamata così per via della sua consistenza che ricorda la morbidezza della seta, il Giappone creò la propria versione di questo dolce utilizzando, anche in questo caso, la base soffice del pan di Spagna. Sempre sulla scia dell’influenza americana, dolci provenienti dagli Stati Uniti e diventati dei grandi classici della pasticceria giapponese, non si può non citare, la Japanese cheesecake, caratterizzata da una consistenza estremamente morbida e leggera della crema che la rende meno calorica rispetto alla versione originale, oppure la Japanese Millecrêpe, una piccola opera d’arte artigianale composta dal 12 strati di crêpe inframezzati da crema, con un cuore di marmellata anko.

Il dialogo gastronomico tra Oriente e Occidente è però ben lungi dall’essere esaurito. Se gli yōgashi raccontano influenza che le preparazioni occidentali hanno avuto nella tradizione dolciaria giapponese, recentemente si sta assistendo al fenomeno contrario. Infatti, alcuni ingredienti della tradizione gastronomica giapponese hanno iniziato a influenzare le preparazioni di casa nostra. Ingredienti come il tè verde matcha o lo yuzu – il succo ricavato da un agrume tipico – si sono inseriti nella tradizione dolciaria occidentale per dare vita a nuove proposte creative.

Wagashi – i dolci tradizionali giapponesi

Wagashi – i dolci tradizionali giapponesi

Quando di parla di Giappone e dei suoi dolci, vengono subito in mente i mochi (le palline di riso glutammoso farcite con anko, la tipica marmellata di fagioli rossi, o gelato a vari gusti) o i dorayaki (il pan di spagna giapponese farcito sempre con anko) perché siamo abituati mangiarli al ristorante. Si tratta di dolci giapponesi tipici e unici nel loro genere, che fanno parte della grande famiglia dei wagashi, letteralmente “dolce giapponese”, che però non esaurisce l’universo dolciario del Sol Levante. Il termine wagashi venne, infatti, creato soltanto durante il periodo Meiji (1868-1912), quando il Giappone si aprì di nuovo al mondo dopo i duecento anno di chiusura, ed entrò in contatto con alcune tradizioni occidentali, compresa quella gastronomica. In quel periodo nacque la necessità di distinguere i dolci tipici giapponesi, wagashi, da quelli arrivati invece dall’Occidente, che vennero invece chiamati yōgashi, letteralmente dolci occidentali.

In Occidente tra gli wagashi più famosi ci sono quelli utilizzati durante la cerimonia del tè, i nerikiri, famosi per il loro design e per l’armonia dei loro colori che interpretano il susseguirsi delle stagioni. Se volessimo semplificare al massimo e trovare per forza dei paragoni, potremmo dire che i nerikiri ricordano i nostri dolci di marzapane anche se alla base della loro preparazione c’è l’utilizzo di fagioli di soia bianchi, chiamati shiroan, per la creazione di un denso impasto.

La famiglia dei dolci in stile wagashi è in verità molto vasta e comprende preparazioni di vari tipi. Tra i classici c’è sicuramente lo yōkan, un dolce composto da pasta di fagioli rossi, agar agar e zucchero. Lo yōkan è famoso per la sua elegante consistenza gelatinosa e la sua forma rettangolare: viene infatti tagliato e venduto a tocchetti. Si tratta di un dolce di lunga durata e che i giapponesi usano fare come regalo o portare in viaggio.

I dolci giapponesi si contraddistinguono, in generale, per l’utilizzo di alcuni ingredienti tipici che hanno alla base elementi vegetali come castagne, riso e cereali, zucca e l’immancabile fagiolo azuki. La marmellata che si ottiene da questa materia prima, chiamata anko, è di colore rosso intenso, tendente al bruno, e proprio questa gradazione ha fatto sì che ai fagioli azuki cioè i “fagioli rossi”, fossero associate proprietà divinatorie. Altro ingrediente tipico delle preparazioni dolciarie nipponiche è il kanten (agar agar), un coagulante naturale che dona l’aspetto gelatinoso ai wagashi, soprattutto a quelli estivi. In origine i dolci giapponesi venivano ricavati dalla lavorazione dei frutti, e per questo il loro legame con le stagioni è tutt’ora molto forte. Lo zucchero, infatti, fece il suo ingresso in Giappone solo a metà del 1500, anche se oggi è prodotto in molte regioni, per esempio nello Shikoku ma anche a Okinawa. Tra le tipologie di zucchero locali più utilizzate ci sono dunque lo shirozaratō, lo zucchero bianco, caratterizzato da grandi cristalli di zucchero che dona ai dolci giapponesi un sapore leggero e raffinato oppure il kurozatō, lo zucchero nero, quello non raffinato, dal colore bruno e dal gusto più intenso.

L’estate: Tanabata e kakigōri

L’estate: Tanabata e kakigōri

È tra le feste più amate e celebrate di tutto il Giappone: la festa di Tanabata, letteralmente “la settima notte” è festeggiata il 7 luglio. Durante questa notte, infatti, le due divinità Orihime e Hikoboshi, rispettivamente le stelle Vega e Altair, possono finalmente ricongiungersi dopo una lunga attesa, proprio come due innamorati. È per questo motivo che questa festa è vissuta dai giovani come una sorta di San Valentino d’estate durante la quale le coppiette si danno appuntamento per vedere insieme i fuochi d’artificio che in quella notte speciale vengono lanciati in cielo.

Secondo la leggenda, i due amanti Orihime e Hikoboshi, presi dalla passione, dimenticarono i loro doveri e per questo motivo vennero puniti dal padre di lei, Tentei, il Re del Cielo, che li confinò alle due rive opposte del Fiume Celeste dando loro la possibilità di incontrarsi attraversando il ponte della Via Lattea solamente una volta all’anno, il settimo giorno del settimo mese. Questa celebrazione è conosciuta anche come “Festa delle stelle” o “Festa delle stelle innamorate” ed è una delle feste più famose e amate dai giapponesi. Tra le decorazioni tipiche di questa celebrazione ci sono i tanzaku, strisce di carta colorata che ricordano i fili utilizzati dalla tessitrice Orihime. Si tratta di lunghi cartoncini sui quali i giapponesi sono soliti scrivere preghiere, poesie e desideri, per lo più d’amore. I tanzaku vengono legati durante la notte del Tanabata ai rami di bambù, decorando i giardini delle case private e degli spazi pubblici. Durante questa serata i giapponesi si riversano nelle strade indossando il tradizionale yukata e per festeggiare l’avvenuto ricongiungimento dei due amanti vengono organizzati anche dei bellissimi fuochi d’artificio. Tra gli spettacoli pirotecnici più famosi ci sono quelli sul fiume Sumida a Tokyo, che attirano ogni anno migliaia di persone.

Come in ogni matsuri estivo, anche durante Tanabata le strade si riempiono di bancarelle che vendono kakigōri, un dolce simile alla nostra granita, però molto più grande. L’arrivo della stagione più calda in Giappone è segnalato proprio dall’esposizione della tipica insegna azzurra all’esterno di alcuni negozi, una sorta di bandierina sulla quale è disegnato il kanji di ghiaccio con un’onda sullo sfondo. Il ghiaccio tritato utilizzato per produrre questo dessert è talmente fine da sembrare neve, caratteristica che dona a questa pietanza una consistenza del tutto particolare e rinfrescante. In commercio esistono numerosissime varianti di kakigōri, anche se solitamente viene guarnito con sciroppi come quello al matcha, al melone o alle fragole.

Oden: lo street food d’inverno

Oden: lo street food d’inverno

Inverno in Giappone significa dire oden, uno stufato cotto nel brodo dashi e composto da moltissimi ingredienti bolliti che variano a seconda della regione. Appena arriva la stagione fredda, in qualunque luogo del territorio giapponese, fanno la loro comparsa pentole fumanti con oden ricchi di mille gusti e ingredienti: dai konbini aipiccoli negozietti aperti 24 ore al giorno, passando per gli yatai presenti durante i matsuri, in Giappone l’odore del brodo dashi che bolle e ribolle caldo in grandi pentoloni è l’odore tipico degli inverni giapponesi.

Nonostante questa pietanza sia nata durante il periodo Edo (1603-1868) e non sia molto popolare all’estero, essa rappresenta uno dei piatti più antichi della cucina popolare giapponese. Le mamme lo fanno anche a casa, specialmente durante le feste, dove si può cucinare anche in stile nabemono, posizionando una grande pentola un fornelletto portatile al centro del tavolo e nella quale i commensali, a turno, cucinano i propri ingredienti preferiti.

Gli ingredienti tipici dell’oden sono il daikon, una radice bianca molto diffusa in Asia, e le uova, sotto forma di uovo sodo marinato. Nella variante a base di pesce è possibile trovare, mescolato nel brodo, il chikuwa, un mix di pesce e albumi dalla consistenza spugnosa, lo hanpen, una torta di pesce morbida e dal sapore delicato tipica di Tokyo, il satsuma-age, un’altra torta di pesce originaria della penisola di Satsuma che viene però fritta e che spesso contiene pezzi di verdura, frutti di mare, zenzero e altri ingredienti. Il gobou maki, un rotolo composto da radice di bardana avvolta da pasta di pesce, e pezzetti di grano, è invece una preparazione che si trova generalmente solo nell’odenOden, come capita in modo più organizzato col ramen, è un po’ un grande raccoglitore di gusti e ingredienti. D’altronde i giapponesi amano arrivare all’armonia del gusto per contrasto e, in un certo qual modo, amano anche mescolare, sebbene in modo semplice. Niente salse, ma una varietà infinita di ingredienti che ben rappresentano territorio e stagioni: un patchwork di gusti che, come succede spesso con gli abbinamenti dei colori e delle stoffe dei kimono, per qualche strano caso, stanno molto bene insieme. Ecco allora che in ogni oden che si rispetti non può mancare il konnyaku, detto anche konjac o “lingua del diavolo”, una radice dalla consistenza compatta e gelatinosa presente in molte preparazioni giapponesi e famosa per le sue proprietà salutari. Il konnyaku dell’oden può essere aggiunto sotto forma di triangolo o di shirataki, particolari spaghetti bianchi gelatinosi dal sapore molto delicato.

Non può, ovviamente mancare il tofu, cucinato in varie versioni: astuage, il tofu fritto; kinchaku, una tasca di tofo fritto che contiene mochi e che risulta avere una consistenza gommosa; ganmo, tofu fritto fatto con verdure, radici e altri ingredienti, alimento che assorbe così tanto brodo da sembrare una spugna quando lo si addenta. Immancabili anche gli ingredienti a base di carne come le tsukune, le polpette di pollo, o il rōru kyabetsu, il “cavolo arrotolato”, una foglia di cavolo farcita con carne di manzo o di maiale. L’oden, è insomma un piatto da assaggiare, se si vuole gustare il sapore del vero inverno giapponese.

Matsuri e i suoi simboli

Matsuri e i suoi simboli

Legati alla terra e alle stagioni, non c’è città, provincia o località giapponese che non abbia il proprio matsuri, le tradizionali feste popolari nate sulla base del sincretismo religioso tra shintoismo e buddismo. Si presentano sotto diverse forme, come avvenimenti legati alla religione oppure come preghiere e richieste di benevolenza dei contadini e dei pescatori agli dei.
Sebbene si tenda a credere che i matsuri siano celebrati principalmente in primavera e in estate, in verità queste feste accompagnano i cittadini giapponesi tutto l’anno. I matsuri possono essere idealmente divisi due grandi gruppi: estivi e invernali, quando si pregano gli dèi affinché concedano un meteo clemente; primaverili e autunnali, quando si prega per una buona semina e un buon raccolto. I giorni dei matsuri seguono il calendario lunare, usato in Giappone fino al 1872, e per questo alcuni matsuri non hanno un giorno preciso di celebrazione ma esso dipende dalla luna. La luna influenza molto queste feste, tanto che alcune iniziano proprio la sera, quando sale la luna piena. I matsuri sono generalmente composti da tre fasi principali: l’arrivo del kami (kami-mukae), quando la popolazione si reca al tempio shintoista per andare a “prendere” il kami e trasferirlo nell’omikoshi, la portantina a forma di tempietto dove risiede il kami durante il matsuri; la parata durante la quale la statua del kami attraversa la città dentro le portantine portate in spalla dagli abitanti del paese o del quartiere; la cerimonia di saluto al kami che ritorna nel suo mondo (kami-okuri). Il santuario portatile omikoshi è uno degli elementi ricorrenti che caratterizzano l’essenza dei matsuri e che vengono indicati come simboli specifici di queste celebrazioni. Tra le decorazioni tipiche dei matsuri troviamo le chōchin, le lanterne cilindriche di carta colorate e suggestive, tradizionalmente utilizzate per allontanare gli spiriti maligni. In estate dire matsuri significa inoltre dire yukata, il comodo, fresco e coloratissimo kimono nella versione in cotone o in stoffa sintetica leggera, che ragazze e ragazzi indossano con grande allegria e felicità. Durante le celebrazioni della stagione estiva sono sempre presenti anche i fuochi d’artificio, in giapponese hanabi, “fiore di fuoco”. Gli spettacoli pirotecnici vengono ammirati da migliaia di persone ogni anno e sono molto amati dalla popolazione giapponese, soprattutto dai più giovani che si recano nei luoghi più suggestivi, come le sponde del fiume Sumida, per assiste a un trionfo di luci e colori che squarciano il cielo della notte.

Tra i matsuri principali troviamo: Atsuta matsuri, consacrato alla spada Kusanagi, uno dei tre sacri tesori del Giappone; Aoi matsuri, uno dei tre festival più famosi di Kyoto; Gion matsuri, sempre a Kyoto, caratterizzato dalla grande processione di carri; Hachiman masturi, uno dei più antichi festival di tutto il Giappone; Hakata Gion Yamakasa, famoso per i carri allegorici trasportati a spalla; Jidai matsuri, il Festival delle ere; Kanamara Matsuri, il festival della fertilità.

Yakimono

Yakimono

Tra i piatti più caratteristici della cucina popolare ci sono senza dubbio gli yakimono, termine che indica tutti i piatti caratterizzati dalla cottura alla griglia e che comprende anche specialità alla piastra come okonomiyakitakoyakiyakisobayakitori e così via. L’okonomiyaki, letteralmente “ciò che vuoi alla griglia”, è una sorta di pizza giapponese alla piastra, composto da una pastella fatta di farina, acqua, lievito e mirin e dashi a cui sono aggiunte generalmente foglie di verza e uova,  diventata famosa all’estero per apparire spesso nei manga e  negli anime. Il tutto può venire guarnito a seconda dei gusti, con carne o pesce.

Così come l’ okonomiyaki, anche il takoyaki, le polpettine di polpo grigliate in una pastella a base di grano anche questo provengono dalla zona di Osaka, patria dello street-food giapponese, e sono  un’altra delle pietanze più famose, mangiate e identificative dello street-food giapponese. Il piatto forte delle izakaya, le trattorie giapponesi è, invece, lo yakisoba, gli spaghetti di grano saraceno saltati alla piastra e conditi con vari ingredienti tra cui verdure, carne di maiale, seppie o gamberetti, maionese, katsuobushi e benishōga. Il tutto può essere poi guarnito con una salsa dolciastra come la salsa otafuku, tipica di Tokyo. Tra le pietanze più popolari e gustate non vanno dimenticati gli yakimono, le pietanze grigliate come gli yakitori, vere prelibatezze con cui i giapponesi concludono le serate dopo il lavoro. Questi spiedini di pollo alla griglia conditi nei modi più disparati, con semplice sale o con salsa tare a base di soia, zucchero, mirin sake sono consumati generalmente bevendo dell’ottima birra giapponese.