Il mondo del Sake

Sake: una definizione

Il sake è una bevanda alcolica tipica del Giappone ricavata dal riso fermentato tramite un processo simile a quello utilizzato per produrre la birra. Il termine sake letteralmente significa “bevanda alcolica” e esso viene utilizzata dai giapponesi per indicare tutta la gamma dei prodotti alcolici, sia del luogo sia stranieri. In Giappone quello che all’estero viene solitamente chiamato “sake” prende il nome di nihonshu, “alcol giapponese”. Il nihonshu si ricava dalla fermentazione del riso a cui viene aggiunta acqua, un microrganismo chiamato kōji e del lievito.

In Occidente spesso siamo portati a fare un paragone tra il sake e la nostra grappa per via del colore trasparente generalmente associato ai distillati e al fatto che esso venga bevuto in bicchieri molto piccoli,  ma non è così. Nella cultura giapponese il sake ha piuttosto una funzione simile a quella del nostro vino, dato che viene bevuto pasteggiando e accompagna le prelibatezze della cucina nipponica. Inoltre la sua gradazione alcolica varia dal 13 ai 16% vol e può essere degustato sia caldo che freddo, a seconda della stagione e della tipologia.

Tra gli elementi principali per ottenere un ottimo sake è essenziale la qualità dell’acqua, che deve essere freschissima e pura: più l’acqua sarà pura e leggera, più il gusto del sake risulterà pulito e dolce. Il riso impiegato per la produzione di sake è diverso da quello usato in cucina e si chiama shūzō kotekimai o sakamai. Questo riso è caratterizzato da chicchi leggeri dato che hanno un basso contenuto proteico. Durante il processo di produzione del sake, la parte esterna del chicco di riso, quella ricca di proteine, viene levigata fino ad arrivare al cuore del chicco,  detto shinpaku che è, invece, ricco di amido. La raffinazione del chicco è uno dei parametri fondamentali per determinare il tipo di sake che verrà prodotto. Esso cambia in base alla percentuale di proteine, grassi e minerali presenti dopo il processo. Affinché il cuore del chicco shinpaku liberi gli zuccheri contenuti nell’amido di cui è composto, viene vaporizzato con acqua e cosparso di un enzima naturale chiamato kōji. L’ingrediente finale è il lievito, necessario per convertire lo zucchero in alcol. In alcuni casi al sake viene aggiunto anche dell’alcol distillato dallo zucchero di canna per regolare il sapore. In questo caso il prodotto prende il nome di honjōzō-shu.

Oltre il sake…

La tradizione alcolica giapponese non è però fatta solo di sake, esistono infatti anche dei prodotti distillati con un grado alcolico molto più alto e che possono essere – questi sì – paragonati alla nostra grappa. È il caso dello shōchū, un distillato dal colore trasparente e molto più alcolico del sake, che può arrivare a raggiungere anche i 45% vol di alcol. Può essere prodotto col riso, ma anche da orzo, patate dolci, grano saraceno, zucchero di canna, castagne, semi di sesamo e perfino carote.. L’awamori, lo shōchū prodotto ad Okinawa, contiene meno carboidrati ed è meno calorico poiché non contiene zuccheri e aminoacidi. Altre due bevande iconiche bevande alcoliche giapponesi molto apprezzate anche dalle donne sono l’umeshu e lo yuzushu, due liquori fruttati. Il primo è il liquore fatto con l’ ume, il prugno asiatico, una pianta che sta a metà tra un pruno e un albicocco. Lo yuzushu, invece, è prodotto con lo yuzu, un agrume coltivato in oriente, un incrocio tra il mandarino selvatico cinese e il limone di Ichang. Tutti questi liquori possono essere bevuti on the rock, o usati per creare fantasiosi cocktails.

Breve storia del sake

L’origine del sake si perde nella notte dei tempi, ed è fatta risalire al periodo in cui la coltivazione del riso iniziò a dominare l’agricoltura giapponese. Le prime testimonianze scritte di questa bevanda alcolica si rintracciano nei testi di storia cinese risalenti al III sec. d.C., dove viene descritta l’usanza dei giapponesi di danzare sorseggiando una bevanda alcolica a base di riso, altri cereali, oppure frutta. In un testo antico di letteratura giapponese nel quale si raccontano usi e costumi delle province giapponesi, si cita una bevada a base di riso, che probabilmente è proprio il sake. Grazie a questi antichi testi sappiamo che, nell’antichità,  la fermentazione dei chicchi di riso era attivata attraverso una pratica chiamata kuchikami no sake durante la quale  le miko, le sacerdotesse dei santuari shintō, per attivare la produzione degli enzimi naturali necessari per la conversione dell’amido in glucosio fermentabile, masticavano il riso. Il nome “bevanda degli dèi” venne dato al sake durante il periodo Yamato (250-550 d.C.) e Asuka (538-700 d.C.) proprio perché veniva prodotto nei santuari. Fu però solo all’inizio del periodo Nara (710-794 d.C.) che furono introdotti in Giappone dalla Cin i kōji, i lieviti di riso utilizzati ancora oggi per la produzione del sake. Da quel momento in poi la produzione di sake attraverso l’impiego di kōji di riso divenne la norma. Durante il periodo Heian (794-1185 d.C.), i metodi di produzione del sake vennero perfezionati tanto che i metodi di produzione odierna non sono poi molto diversi da quelli di allora e impiegano tre ingredienti principali in uso ancora oggi: riso, kōji e acqua. In quest’epoca il sake era un elemento fondamentale nelle occasioni formali di carattere politico o religioso, ma non veniva consumato dalla gente comune. Fu solo con il progressivo sviluppo delle città e dei commerci tra la fine del periodo Heian e l’inizio del periodo Kamakura-Muromachi (1185-1573 d.C.) che il sake divenne un bene di consumo a un prezzo di mercato pari a quello del riso. Durante il periodo Meiji (1869-1912 d.C) la produzione di sake assunse dimensioni industriali e per questo motivo fu istituita un’imposta sulle bevande alcoliche e, allo stesso tempo, fu proibita la produzione privata e non autorizzata di alcol. Durante l’inizio del Novecento erano state acquisite tutte le conoscenze necessarie per la modernizzazione e il miglioramento delle pratiche di produzione del sake, tuttavia il processo di modernizzazione dell’industria di sake subì una battuta d’arresto intorno al 1937, a partire dalla guerra sino-giapponese, durante la quale gran parte del riso prodotto fu destinata al sostentamento delle truppe. La carenza di riso a uso alimentare significò anche la carenza di riso per produrre sake e fu così che nacque il sanbai zōjō-shu, “sake diluito con alcol distillato”, che permetteva di triplicare la quantità di bevanda prodotta. Nel 1992 nacque il sistema attuale di classificazione del sake in base al grado di raffinazione del riso e alla presenza o meno di alcol aggiunto.

Principali tipologie di sake

Il termine nihonshu è la parola utilizzata per indicare la bevanda alcolica che comunemente all’estero viene chiamata “sake” ed è utilizzata esclusivamente per indicare la bevanda giapponese ottenuta dal riso fermentato. La parola seishu indica il “sake raffinato” e viene stampata sull’etichetta di ogni bottiglia di sake. Con futsūshu, letteralmente “sake comune”, ci si riferisce al sake non pregiato, da tavola, molto popolare in Giappone che viene servito nelle izakaya.

La classificazione dei premium sake, decisa dal governo giapponese, è conosciuta col nome di tokutei meishō-shu, “denominazione specifica”. Tra i parametri principali che definiscono la classificazione c’è la percentuale del peso originale del riso rimasto dopo il processo di levigatura dell’esterno del chicco. Il sake a denominazione speciale deve, inoltre, essere prodotto con almeno il 15% di riso kōji in rapporto al peso totale del riso bianco utilizzato. La percentuale di alcol aggiunto deve essere di origine agricola e non deve superare mai il 10% del peso del riso.

I sake di puro riso fermentato, senza nessuna aggiunta, sono cinque: Junmai-shu, Tokubetsu Junmai-shu, Junmai Ginjō-shu e Junmai Daiginjō-shu.

  • Junmai-shu e Tokubetsu Junmai-shu – sono ricavati esclusivamente dalla fermentazione del riso, kōji e acqua.
  • Junmai Ginjō-shu – varietà che sfrutta le tecniche di fermentazione del ginjō-zukuri a bassa temperatura che conferiscono acidità e umami meno evidenti e un ginjō-ka, l’aroma fruttato, più spiccato.
  • Junmai Daiginjō-shuè considerata la varietà più prestigiosa. I sake di questa tipologia sono particolarmente raffinati.

I sake con un’aggiunta di alcol fino al 10% del peso del riso raffinato sono cinque: Futsū-shu, Honjōzō-shu, Tokubetsu Honjōzō-shu, Ginjō-shu e Daiginjō-shu.

  • Futsū-shu – sake da tavola, leggero e delicato, fragrante, dal colore trasparente.
  • Honjōzō-shu e Tokubetsu Honjōzō-shu – sake caratterizzato dall’avere una piccolissima quantità di alcol che viene aggiunta per creare un sapore più morbido e leggero. È un ottimo sake da accompagnamento che sottolinea il sapore dei cibi con cui è abbinato.
  • Ginjō-shu – ottenuto da chicchi di riso cui mediante raffinatura è stato rimosso più del 40% dello strato esterno. Presenta una fragranza fruttata, detta ginjō-ka, e una leggera acidità.
  • Daiginjō-shu – tipo di ginjō-shu ottenuto tramite un riso ancora più raffinato, con almeno il 50% di strato esterno rimosso dal chicco.